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Illiberal Peacebuilding: narrative, prassi e implicazioni

Tipologia
Università ed Enti Pubblici di Ricerca
Programma di ricerca
Ricerca Locale
Ente finanziatore
Università degli Studi di Torino
Budget
10.000 €
Periodo
06/04/2016 - 05/04/2018
Responsabile
Stefano Ruzza

Partecipanti al progetto

Descrizione del progetto

A partire dalla fine della Guerra Fredda il cosiddetto "peacebuilding liberale" è divenuto la forma dominante di intervento nelle realtà conflittuali e post-conflittuali. Il suo scopo dichiarato è la costruzione di una pace stabile e duratura, da ottenersi combinando incentivi in favore della democratizzazione con riforme economiche di matrice neo-liberale. Data la sua posizione preminente nel discorso e nella prassi internazionale, sul peacebuilding liberale esiste un ampio dibattito e una vasta letteratura.

Tuttavia, elementi di matrice illiberale - quali centralizzazione e consolidamento di elite o del potere militare, egemonizzazione dei processi elettorali, promozione e sviluppo di economie neo-patrimoniali o fortemente stataliste - per quanto divergenti dal canone liberale, hanno giocato un ruolo chiave nel forgiare la pace in contesti altamente instabili e conflittuali, favorire investimenti in economie sottosviluppate, produrre istituzioni statali efficaci, in paesi tanto diversi quali Angola, Sri Lanka, Myanmar ed Indonesia, nell'ambito di processi di peacebuilding definibili come illiberali. Questo paradigma emergente deve essere ancora analizzato in maniera compiuta e sistematica e colto nelle sue peculiarità e implicazioni.

Diversi casi studio dimostrano che elementi di stampo illiberale giocano un ruolo talvolta positivo nonostante la loro illiberalità e in alcuni casi proprio grazie ad essa. A partire da questo è necessario avviare una riflessione più profonda su ruolo e impatto degli elementi illiberali nei processi di costruzione della pace; sulla natura della pace prodotta (ovvero se possa definirsi liberale o meno, e in che misura), se tale pace possa definirsi genuinamente positiva (così come sotteso dalla nozione originaria di peacebuilding prodotta da Johan Galtung); quanto gli stessi concetti di peacebuilding e di pace liberale possano accomodare elementi illiberali senza snaturarsi.

Il progetto di ricerca proposto intende istituire una cellula interna al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell'Università degli Studi di Torino che prenda parte a questa riflessione nell'ambito di un network internazionale attualmente in fase di costituzione, ovvero un gruppo (al momento ancora informale) guidato da Claire Q. Smith (University of York) e da Rajesh Venugopal (London School of Economics) e che si estende ad Australian National University, Colombo University, Singapore University e Tuft University, al quale andrebbe ad aggiungersi la cellula DCPS/UniTo.

Il team di ricerca torinese dovrebbe occuparsi in particolare di due temi, e cioè:

  1. riconsiderare il peacebuilding liberale nel suo sviluppo e nelle sue diverse dimensioni (genealogia, narrative, prassi e implicazioni), valutando anche come è influenzato dall'agire nell'ambito delle attività di costruzione e mantenimento della pace sanzionate dall'ONU di un importante paese illiberale: la Cina;
  2. sviluppare in profondità un caso-studio relativo a un processo di peacebuilding di tipo illiberale: il Myanmar. Si tratta del caso di elezione non soltanto in virtù della sua attualità, ma anche poiché contiene numerosi degli elementi di illiberalità precedentemente citati.

Il team di ricerca torinese sarebbe dunque suddiviso in due sotto-unità: la prima costituita da Giovanni Andornino e da Anna Caffarena, impegnata prevalentemente sulla prima parte; la seconda formata da Giuseppe Gabusi e Stefano Ruzza, concentrata invece sulla seconda. Tutto ciò fermo restando il coordinamento tra le due sotto-unità, a cura del PI, che fungerebbe anche da punto di contatto tra la cellula torinese e la rete di colleghi all'estero. Il valore di quanto prodotto dal gruppo DCPS sarà accresciuto dal confronto con il lavoro svolto dai colleghi stranieri, che è volto ad approfondire altri casi studio e dunque a dare una dimensione comparativa alla produzione del team internazionale nel suo complesso.

Innovazione nello stato dell'arte

il peacebuilding illiberale costituisce di fatto un terreno ancora vergine, con riferimento al quale qualunque tipo di sviluppo rappresenta di per se stesso una innovazione.

In particolare, il contribuito dell'attività è volto a:

  • chiarire e disambiguare la relazione intercorrente tra peacebuilding (inteso come costruzione di una pace stabile), statebuilding (inteso come costruzione di istituzioni statali stabili) e controinsurrezione;
  • ridefinire il concetto di peacebuilding ibrido, ovvero non soltanto relativo a possibili commistioni tra agende e modus operandi locali (o indigeni) ed esterni, ma anche tra metodi liberali e illiberali;
  • integrare queste riflessioni sia nel dibattito più generale relativo al peacebuilding, sia in quelle relative agli studi di area, con particolare riferimento a al Myanmar e al Sud-Est asiatico.
Ultimo aggiornamento: 08/05/1975 01:52
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